Quello della pubblicità sanitaria è un tema di stretta attualità. È un terreno su cui si sfidano da tempo interessi economici privati e interessi pubblici, nella ricerca difficile di un accettabile equilibrio.
Le ultime novità, importanti, risalgono alla Finanziaria 2019 (L. 145/2018), che ha introdotto all’articolo 1 commi 525 e 536 alcune “novità”, illustrate meglio nel prosieguo, che alcuni interpreti giudicano essere un ritorno al passato, altri, invece, una “puntualizzazione” del campo di gioco.
Senza dubbio, l’intervento del Legislatore ha creato un po’ di scompiglio e disagio per il senso di indeterminatezza che traspare dall’uso di certi termini. Ad esempio, secondo il comma 525 (art. 1 L.145/2018), le “comunicazioni informative” rilasciate dalle strutture sanitarie private e dagli iscritti agli ordini professionali delle professioni sanitarie “possono contenere unicamente le informazioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (Legge Bersani), funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria”.
Ma com’è possibile fare pubblicità senza utilizzare “elementi di carattere promozionale o suggestivo”? Fin dove ci si può spingere su una pagina Facebook? Quali sono i confini da rispettare per una campagna pubblicitaria online? Oppure offline, cartacea?
Su queste domande si stanno arrovellando ormai da un po’ mesi i diretti interessati, i professionisti della sanità, ma, soprattutto, le agenzie di marketing e comunicazione che fino ad oggi hanno curato la comunicazione di case di cura, studi odontoiatrici, ambulatori medici ecc.
Anche per questa categoria di operatori economici, le novità introdotte con la Finanziaria 2019 possono nascondere delle insidie: c’è il rischio di vedersi contestare dal proprio cliente (il medico) la responsabilità per i danni provocati dalla campagna pubblicitaria.
Il comma 536 della L. 145/2018 (Finanziaria 2019) prevede, infatti, che “In caso di violazione delle disposizioni sulle comunicazioni informative sanitarie di cui al comma 525, gli ordini professionali sanitari territoriali, anche su segnalazione delle rispettive Federazioni, procedono in via disciplinare nei confronti dei professionisti o delle società iscritte e segnalano tali violazioni all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti sanzionatori di competenza (…)”.
Le conseguenze a carico del medico per un messaggio pubblicitario sbagliato o per una maldestra campagna pubblicitaria sono pesanti.
Naturalmente, il medico che curi da sé la propria comunicazione sanitaria, in caso di procedimento disciplinare o di segnalazione all’AGCOM, non potrà che prendersela con se stesso. Laddove invece si affidi a un “esperto del settore” per le proprie campagne pubblicitarie, quindi a un’agenzia di comunicazione e marketing, potrà senz’altro chiedere di essere risarcito per i danni e i disagi eventualmente patiti (fermo restando gli eventuali provvedimenti disciplinari dell’ordine e/o le sanzioni dell’AGCOM).
Una volta tanto, anche i medici potranno invocare la responsabilità professionale (contrattuale in questo caso) dell’agenzia di comunicazione.
Chiaramente è meglio non arrivare a tanto e affidarsi a degli specialisti di settore o perlomeno consultarsi preventivamente con un esperto di diritto della pubblicità e comunicazione sanitaria.
La disciplina della pubblicità sanitaria peraltro non si esaurisce alle sole norme della Finanziaria 2019 o dei D.Lgs 145-146/2007. Ci sono, come noto, anche le disposizioni dei codici deontologici (per i medici gli artt. 54-55-56 del Codice di Deontologia) e diverse altre regole sparse in vari altri testi di legge tuttora in vigore (es. Legge Bersani – L. 175/1992 – D.L.vo 46/1997 ecc.), su cui ritorneremo più approfonditamente nei prossimi post.
Orientarsi in questa materia, quindi, non è semplice. Tuttavia, facendo affidamento sulle giuste informazioni e sulle giuste fonti di diritto, né il medico né le agenzie di comunicazione e marketing dovranno dire addio alla “pubblicità sanitaria”.
Vediamo allora di seguito come muovere i primi passi in sicurezza. Per capire che cosa si intende per “pubblicità suggestiva”, “messaggio promozionale”, “pubblicità comparativa, “pubblicità ingannevole”, “pubblicità denigratoria” ecc. (tutti termini che ritroviamo ad esempio negli artt. 54-55-56 del Codice di Deontologia Medica), è opportuno innanzitutto partire dal significatodel termine “pubblicità”.
Che cos’è una “pubblicità”? Sembra una domanda banale, anche perché tutti noi siamo in grado di riconoscerla, di solito. Però, quando si ha a che fare con il diritto e con le sanzioni, non ci si può affidare solo al buon senso o alla definizione di un vocabolario di italiano: è indispensabile partire dalle definizioni di legge.
Il D.Lgs. 145/2007, ad esempio, definisce la pubblicità come una “qualsiasi forma di messaggio diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi” (art. 2. comma 1 lett. a).
Con il il D.Lgs 145/2007 e il D.Lgs 146/2007 (che ha introdotto sostanziali modifiche al Codice del Consumo – D.Lgs 206/2005), l’Italia ha dato concreta attuazione alla direttiva 2005/29/CE, introducendo la categoria delle “pratiche commerciali sleali” (cioè quelle pratiche poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale, contrarie alla diligenza professionale e idonee a falsare in misura rilevante il comportamento dei consumatori. Questa categoria comprende, oltre alle pratiche ingannevoli, tutte le condotte costituenti una forma di indebita pressione sui consumatori, tali da limitare in misura considerevole la libertà di scelta, inducendoli a decisioni economiche che non avrebbero altrimenti assunto: manipolazione).
I due Decreti Legislativi 145 e 146 del 2007, più in dettaglio, affrontano da prospettive differenti analoghi problemi. Nello specifico:
- Lgs 145/2007 tutela i professionisti (e le imprese) dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché stabilisce le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (B2B);
- Lgs 146/2007 introduce norme per l’attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (B2C).
All’interno dei due Decreti Legislativi, inoltre, ritroviamo le definizioni di “pubblicità ingannevole” e di “pubblicità comparativa”, richiamate ad esempio dall’art. 56 del Codice di Deontologia Medica.
Altre fonti rilevanti per orientarsi nel complesso mondo dell’informazione pubblicitaria sono le disposizioni del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, giunto ormai alla 66esima edizione (ultima versione in vigore dal 29.04.2019), che ci fornisce importanti indicazioni in materia di pubblicità denigratoria, pubblicità per la vendita di prodotti cosmetici, di integratori alimentari e prodotti dietetici, di prodotti medicinali e trattamenti curativi, solo per fare alcuni esempi.
Ci sono d’aiuto, infine, la dottrina e la giurisprudenza, copiosa, in materia di “Codice del Consumo” e le decisioni del Gran Giurì della Comunicazione (organo forse non molto noto ai più, ma molto importante) dell’AGCM (Antitrust) e dell’AGCOM.
La “pubblicità sanitaria” quindi, lungi dall’essere vietata, richiede molta attenzione. Serve un po’ di esperienza, buon senso, capacità di visione d’insieme e poter fare affidamento su un team ben assortito di esperti in comunicazione sanitaria e diritto della pubblicità (delle professioni sanitarie).
In chiusura di post, un suggerimento per i medici e perchi si occupa, per mestiere, di comunicazione e marketing sanitario. Prima di impegnare somme di denaro in campagne pubblicitarie che potrebbero rivelarsi foriere di contestazioni disciplinari, è “cosa buona e giusta” approcciare preventivamente il proprio ordine di appartenenza, sottoponendo all’attenzione degli organi di disciplina i testi/video/claims della campagna pubblicitaria che si vorrebbe avviare, avendo cura di specificare anche attraverso quali strumenti (online oppure offline) si intende procedere.
Sebbene non vi sia quest’obbligo, la presentazione in via preventiva del progetto pubblicitario, corroborato da opportune riflessioni e accorgimenti di diritto, avrà come effetto benefico innanzitutto quello di agevolare il rapporto e lo scambio di informazioni tra medico iscritto e organi di valutazione (evitando inutili, quanto controproducenti irrigidimenti), e poi di mettere al riparo l’investimento.