Durante queste ultime settimane sono stata contattata più volte da medici ospedalieri per avere chiarimenti in merito alle richieste di aspettativa per incarichi di servizio a termine presso altre Aziende.
In sostanza, le domande che mi sono sentita rivolgere sono la seguenti due:
- La concessione dell’aspettativa da parte della Azienda è un atto discrezionale oppure deve essere concessa obbligatoriamente al medico?
- Quali sono i tempi entro cui l’Azienda deve rispondere ad una domanda per la concessione di aspettativa?
Facciamo prima un po’ di chiarezza.
Schematicamente, in base alla normativa vigente, esistono diversi tipi di aspettativa per il medico ospedaliero assunto con contratto a tempo indeterminato:
- l’aspettativa per esigenze personali o di famiglia (Art. 10 comma 1 CCNL 10.2.2004, come integrato dall’art. 24 CCNL 3.11.2005);
- l’aspettativa per gravi e documentati motivi familiari (Art. 10 comma 8 lett. c) CCNL 10.2.2004, come integrato dall’art. 24 CCNL 3.11.2005);
- l’aspettativa per ragioni di servizio, in caso di attribuzione di incarico di struttura complessa oppure in caso di assunzione a tempo determinato presso altra Azienda (Art. 10 comma 8 lett. a) e b) CCNL 10.2.2004, come integrato dall’art. 24 CCNL 3.11.2005).
Tutte e tre le forme di aspettativa sono:
- non retribuite
- e non concorrono nel calcolo dell’anzianità di servizio.
Tuttavia solo la prima ipotesi – la n. 1. – ha un carattere discrezionale (potendo essere negata dall’Azienda per comprovate esigenze di servizio). Le aspettative di tipo 2. e 3. costituiscono un vero e proprio diritto soggettivo del medico e, pertanto, in presenza delle condizioni di legge, l’Azienda è obbligata a riconoscerle.
Ma quanto tempo ha il datore di lavoro per rispondere ad una richiesta di aspettativa per motivi di servizio?
Capita spesso che le Aziende, afflitte dalla cronica carenza di organico (soprattutto per alcune specializzazioni), allunghino i tempi di risposta per la concessione dell’aspettativa.
Questi ritardi, talvolta, sono così persistenti da ingenerare ansia e tensione nel medico. È su di lui infatti che ricade – in concreto – l’onere di coordinare i tempi del proprio trasferimento.
Il medico è così schiacciato tra due fuochi: fra i bisogni dell’Azienda presso cui egli presta servizio e le legittime richieste della futura struttura ospedaliera presso cui dovrà svolgere il periodo di lavoro a tempo determinato, che ha invece l’esigenza di sapere in tempi brevi se l’incarico a termine conferito verrà accettato o meno.
Come chiarito anche dall’ARAN, l’art. 10 non ha stabilito un termine per le Aziende entro cui comunicare al dirigente l’assenso alla richiesta; né del resto ha stabilito un termine di preavviso – da parte del dirigente – ai fini dell’inizio del periodo di aspettativa. Ciò significa che questi aspetti devono essere disciplinati in appositi atti di organizzazione interni (regolamenti) all’Azienda, con piena autonomia e sulla base delle proprie esigenze.
Questa autonomia organizzativa però non può – e non deve – mai spingersi al punto tale da negare, in concreto, al medico il legittimo esercizio di un proprio diritto soggettivo.
L’esperienza mi insegna che adottando una corretta strategia di comunicazione dal contenuto giuridico, sia formale che verbale, si riesce – di solito – ad imprimere velocità ai tempi di risposta delle Aziende.
Ciò significa che in previsione di un trasferimento a tempo determinato il medico deve:
- informarsi presso la propria Azienda (ufficio risorse umane) sulla procedura per l’inoltro della domanda di aspettativa per motivi di lavoro;
- acquisire copia della determinazione emanata dall’Azienda ospedaliera presso cui sarà svolto il periodo di servizio a tempo determinato;
- compilare, quanto prima, il modulo di richiesta dell’aspettativa per motivi di lavoro (io ne ho visti di varie forme e tipologie)
- depositare presso la propria Azienda il modulo di richiesta, facendo protocollare immediatamente (dando così data certa) la domanda presso l’ufficio risorse umane, oppure inviando il modulo compilato – sempre all’ufficio risorse umane – tramite la propria PEC aziendale;
- infine, stimolare il dialogo – usando anche la mail – tra le direzioni delle strutture complesse coinvolte nel trasferimento: quella di partenza e quella di arrivo.
L’ultimo punto è sempre il più delicato ed è quello che genera nel medico le maggiori ansie… ma è sufficiente rifarsi al CCNL ed a quanto stabilito dall’art. 10 del contratto collettivo per essere nel giusto.
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